Lavoro in vigna

Dicembre, andiamo. E’ tempo di potare.

La festa della vendemmia in Langa e Roero si è conclusa da oltre un mese: le viti, private dei preziosi grappoli, hanno regalato stupendi paesaggi infiammati dai colori aurei e ramati dell’autunno, prima di spogliarsi completamente delle foglie.

Le gelate notturne e le brezze fredde, che si accompagnano in questi giorni a intense nebbie, sferzano i tralci lignificati, sui quali si notano solo più rari e sparuti grappolini ormai raggrinziti, le cosiddette “rape’d San Martin”.

I filari delle vigne, nonostante l’inverno incipiente, si ripopolano in questi giorni dei vignaioli: è, infatti, giunto il tempo della potatura.

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Come spiegare in modo semplice l’utilità di questo impegnativo lavoro?

Ritengo che la parabola della vite ed i tralci, riportata nel Vangelo di Giovanni, sia pienamente esplicativa: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, [il vignaiolo] lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”.

In effetti, la pratica agronomica della “potatura secca” della vite assolve a varie funzioni, tra cui la principale è proprio quella di eliminare buona parte dei germogli che hanno fruttificato nell’anno in corso, in modo da favorire lo sviluppo di nuova vegetazione. La vite, infatti, fruttifica prevalentemente sui tranci novelli, ovvero quelli che si originano in primavera.

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Ma non solo: la vite è una pianta lianosa, che cresce rapidamente e deve essere contenuta “prepotentemente” attraverso un sistema di palificazione ed orditura molto complesso; la potatura, quindi, ne consente il mantenimento regolare, quasi geometrico, della struttura. Solo così ne è possibile la coltivazione con i sistemi agronomici moderni. Immaginate, viceversa, cosa sarebbe dei vigneti se le piante potessero svilupparsi in modo naturale, a mò di arbusto rampicante, intrecciandosi reciprocamente, correndo sul terreno ed aggrappandosi a qualsiasi sostegno per mezzo dei viticci!

L’intervento del viticoltore è, inoltre, il prerequisito indispensabile per raggiungere gli altissimi livelli qualitativi delle uve che fanno grandi i vini dell’albese. I drastici tagli inflitti alle piante con forbici e seghetti sono, infatti, fondamentali per regolare la vegetazione e mantenerla nei limiti di un delicato equilibrio tra sviluppo radicale, ampiezza della chioma e quantità di frutti.

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Le foto che ho realizzato nel corso della potatura di una vigna di Nebbiolo sono esplicativi, sicuramente più di mille parole, della apparente crudeltà dell’intervento antropico sulla pianta, che viene ridotta ai minimi termini.

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Le regole con cui i vignaioli effettuano l’intervento di potatura sono molto precise e rispettano i dettami della forma di allevamento specifica, ovvero il tipo di sviluppo complessivo impresso artificialmente alla vite e che deve essere il medesimo per tutte le piante del vigneto. Esistono moltissime forme di allevamento, che si sono evolute nei secoli con il processo di addomesticamento e selezione dei vitigni e grazie all’innovazione delle tecniche agricole.

Nell’areale albese, e più in generale in tutto il Piemonte, è molto diffuso il Guyot, una tecnica di potatura che consente di ridurre la crescita vegetativa della pianta a pieno favore della qualità dell’uva.

 

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Il viticoltore, per realizzarla, effettua i “classici” tre tagli:

  1. il taglio del passato, con cui si elimina il tralcio di due anni (a) che porta a sua volta i tralci di un anno (b), dai quali sono stati raccolti i grappoli della vendemmia 2015;
  2. il taglio del presente, che consiste nel ridurre la lunghezza del tralcio scelto come “capo a frutto” per il 2016 al numero di gemme desiderato; nel caso di questo vigneto il carico gemmario è pari a 8 (in genere si lasciano 6-10 gemme per pianta). Il capo a frutto non è un ramo qualsiasi, ma è quello sorto dalla gemma posizionata più in alto fra le due gemme dello sperone lasciato durante la potatura del 2014;
  3. il taglio del futuro, che prevede di costituire il cosiddetto “sperone”, ovvero un tralcio con solo due germogli, originato dalla gemma posizionata più in basso sullo sperone del 2014, e che consentirà il prossimo anno di ricavare il nuovo capo a frutto e sperone per il 2017.

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Infine, non resta che asportare i tralci separati dalla pianta, adagiarli al centro del filare per essere sminuzzati con una lavorazione meccanica di trinciatura affinché diventino concime, oppure raccoglierli in fascine ed allontanati dal vigneto per usi alternativi (come, ad esempio, legna da ardere).

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Spero di essere riuscito a trasmettere ai miei lettori quanta conoscenza, esperienza, attenzione e passione sono necessari per realizzare con dovizia questa importantissima cura colturale del vigneto, sconosciuta ai più, e quanta fatica e sopportazione della rigidità del clima si cela nel quotidiano lavoro del vignaiolo!