Cronache di cantina

Il Barbera d’Alba che schiuderà dall’egg: la mia esperienza di vinificazione

Nonostante le festività natalizie mi invoglino a fuggire gli impegni in vigna e cantina, il lavoro procede con i controlli di routine sui vini in fase di affinamento. Buona parte dei vini bianchi sono già in pieno svolgimento della stabilizzazione tartarica; i rossi, invece, sono sottoposti agli ultimi controlli di completamento della fermentazione malolattica per essere avviati al medesimo trattamento, complice l’abbassamento naturale della temperatura ambiente.

In particolare, nella giornata odierna ho effettuato una interessante degustazione comparativa tra due campioni di vino atti a Barbera d’Alba DOC della vendemmia 2015, uno vinificato tradizionalmente in vasca di acciaio inox con sistema di controllo della temperatura, l’altro realizzato in via sperimentale nello stravagante “concrete eggs” in cemento.

Ma cosa distingue questi strani vasi vinari?

Sono un’invenzione enologica moderna, infatti, il primo uovo fu commissionato nel 2001 da Michel Chapoutier, produttore vinicolo di eccellenza della valle del Rodano, alla  Nomblot.

Sotto il profilo costruttivo, si tratta di vasche in cemento realizzate in malta naturale non trattata oppure dotate di rivestimento interno in resina epossidica, in modo da rendere inerte la superficie a contatto con il vino, forgiate secondo una strana forma ovoidale.

10364046_796720977061556_2053760446393171748_n

Oltre al particolare effetto di stupore al primo colpo d’occhio, che le pone al centro dell’attenzione di ogni visitatore della cantina, sembrano comunicare un senso di naturalità futuristica che cozza con l’evoluzione tecnica o la tradizionalità di tutte le altre attrezzature vinicole.

Mettendo, però, in disparte l’effetto di immagine, dal punto di vista tecnico sono vasi vinari idonei sia alla fermentazione, sia all’affinamento e stoccaggio dei vini. I fautori di tale tecnologia enologica spiegano che in fase di fermentazione l’anidride carbonica che si sviluppa dal mosto tende a concentrarsi nel ridotto spazio di testa del contenitore (spazio vuoto tra la sommità del liquido e le pareti), imprimendo al mosto ed alle eventuali vinacce un moto convettivo naturale più intenso ed uniforme, che favorisce l’estrazione e la formazione di aromi molto fini.

Inoltre, essendo il cemento un materiale dotato di notevole inerzia termica, rende le variazioni di temperatura del vino più lente. Fatto salvo la possibilità di gestire la temperatura del mosto e del vino contenuti nei concrete eggs con scambiatori a piastre mobili o eventuali sistemi di raffreddamento fissi individuali, tali contenitori disperdono poco calore ed è, quindi, possibile mantenere una temperatura media di fermentazione più alta di alcuni gradi. Queste condizioni influenzano l’andamento della macerazione, che a detta dei sostenitori del metodo, dovrebbe risultare enfatizzata sia per le componenti tanniche, sia per la frazione colorante. I vasi vinari ovoidali in cemento promettono risultati positivi anche per la conduzione della fermentazione malolattica, proprio per la capacità di mantenere alta la temperatura del vino dopo il termine della fermentazione alcolica.

I concrete eggs vengono descritti come validi strumenti impiegabili per l’affinamento, in quanto, oltre alla protezione dagli sbalzi termici, garantiscono meno vibrazioni rispetto agli analoghi in acciaio. Una differenziazione in tal senso esiste tra gli eggs rivestiti internamente in resina epossidica e quelli in cemento tal quale: i primi sono paragonati in termini di microssigenazione all’acciaio, quindi praticamente impermeabili, i secondi sono ritenuti validi sostituti del legno per la elevata microporosità che li caratterizza.

Fatte tutte queste doverose premesse, la vendemmia 2015 ha segnato anche il mio primo incontro con una di queste ambigue vasche: capacità poco inferiore ad 8 hL, costruita in cemento rivestito con resina epossidica ed acquistata di “seconda mano” (chissà perché il precedente proprietario se ne è voluto sbarazzare!?!). Il mio primo approccio è stato un po’ critico e diffidente, soprattutto rispetto all’ipotesi di un possibile surriscaldamento del mosto durante la fermentazione alcolica. Ma intanto il compito di portare a termine una vinificazione sperimentale di uva atta a Barbera d’Alba DOC già l’avevo accettato!

La mia scelta professionale rispetto all’obiettivo enologico, allora, è stata estrema, rischiando “il tutto per tutto”: vinificazione, affinamento e stoccaggio completamente in egg, dalla pigiatura all’imbottigliamento, senza nessun passaggio in legno o in acciaio (in vero, qualche ora in acciaio l’ho ammessa, ma limitatamente al tempo tecnico per realizzare délestage, svinatura, sfecciature e travasi).

b

Nel calice a sinistra il campione vinificato in egg, nel bicchiere a destra il vino atto a Barbera d’Alba DOC da vinificazione tradizionale.

Nonostante le iniziali preoccupazioni e forse complice l’eccesso di apprensione che mi ha portato a dedicare a tale vasca molte più attenzioni rispetto al consueto, la vinificazione è avvenuta senza intoppi o anomalie ed anche la fermentazione malolattica, secondo i referti analitici, è ad oggi completa.

Prima di avviare il lotto alla stabilizzazione tartarica, che avverrà per naturale esposizione alle basse temperature ambientali, ho ritenuto importante effettuare un confronto tra il vino ottenuto con questa particolare vinificazione e l’analogo vino realizzato con lavorazione tradizionale. Entrambi  provengono dalle uve Barbera del medesimo vigneto, quindi le differenze nel prodotto sono imputabili pressoché integralmente all’influenza delle tecniche enologiche .

Osservando i due campioni si notano variazioni molto modeste in termini di tonalità ed intensità: entrambi sono più che soddisfacenti, ma è pur vero che l’uva Barbera è ricca in sostanze coloranti e dal profilo cromatico molto valido. Ad un’osservazione più attenta, il campione proveniente dal concrete egg presenta una torbidità leggermente più pronunciata, ma non è preoccupante considerato che si tratta di un vino d’annata in fase di lavorazione.

All’olfatto entrambi presentano sentori fortemente vinosi, tipici di un vino nato da pochi mesi. Note lattiche ricordano che il processo della degradazione batterica dell’acido malico è appena concluso. Mi colpisce come il vino prodotto nell’uovo presenti una dotazione aromatica maggiore ed anche più complessa, in cui è più intenso il sentore di frutti rossi, mentre il profumo vinoso risulta meno accentuato rispetto all’analogo vinificato in acciaio. Non mi stupisco delle discrepanze: le diverse modalità e condizioni di vinificazione, nonché i due protocolli di lavorazione appositamente studiati per ciascun lotto giustificano pienamente la divergenza delle sensazioni percepite.

944380_983441495056169_5373933961406176040_n

Nel calice a sinistra il campione vinificato in egg, nel bicchiere a destra il vino atto a Barbera d’Alba DOC da vinificazione tradizionale.

In bocca, infine, la differenza tra i campioni è netta: a sensazioni parimenti gradevoli in termini di acidità e sapidità, si contrappone una più marcata tannicità del vino in egg, che promette una maggiore longevità e mi induce a prevedere tempi di affinamento di qualche mese più lunghi. Ottima la sensazione di pienezza gustativa che entrambi i campioni donano al palato, in grado di bilanciare l’esuberante freschezza tipica del vitigno.

Un ultimo confronto delle analisi chimiche per i parametri del TAV effettivo, delle acidità e del pH non evidenziano differenze significative tra le due metodologie di vinificazione. Solo l’acidità volatile del campione vinificato in uovo è maggiore di qualche centesimo di grammo per litro, ma i valori sono pienamente nella norma considerato lo stadio di evoluzione del prodotto.

Non mi è chiaro, al momento, definire quale tra i due lotti sarà più franco, complesso ed elegante una volta terminato il processo di affinamento. Saranno vini con due personalità differenti, probabilmente adatti anche a un invecchiamento di cinque – sette anni.

Certamente rispetto al “vino schiuso dall’egg” avremo molte parole da proferire e da scrivere, tante argomentazioni con cui suscitare rinnovata curiosità negli affezionati del marchio e buoni motivi per indurre qualche potenziale consumatore ad un acquisto.

Se non sotto il profilo della tecnica enologica, mi chiedo se il concrete egg sarà o meno, nel lungo periodo, l’ “uovo di Colombo” del marketing aziendale: ai posteri l’ardua sentenza!